Il ponte di Clavi racconta ...

di ORIETTA MAZZOCCO BUT

Il ponte e l'oratorio di San Martino a Clavi appaiono solitari nella valle quando li si osserva dalla strada che sale a tornanti verso Torrazza. Se si riesce a trascurare le costruzioni che talora deturpano il panorama e a percepire solamente la presenza dell'abitato di Clavi e poco più su dalla romanica chiesa di San Giorgio, si ha la sensazione netta di come doveva essere il paesaggio sul finire del XIII secolo, epoca in cui la chiesa già esisteva nelle sue forme romaniche attuali e il ponte univa le sponde del Prino lungo una strada mulattiera che risaliva la collina in direzione di Caramagna e poi di Castelvecchio a Oneglia.

Le costruzioni sono frutto di quel fervore di attività che all'inizio del secondo millennio ridiedero vita a paesi provati da tante traversie. Dopo i secoli delle scorrerie saracene e quelli dei domini feudali di vescovi e conti i monasteri benedettini di Caramagna presso Torino e di Santa Maria di Pinerolo entrarono in possesso delle terre di Porto Maurizio. Insieme con quello di Lerins (di fronte a Cannes) ebbero tanta parte nella rinascita civile ed economica del paese (introdussero la cultura della varietà taggiasca dell'ulivo). Seguirono i grandi sommovimenti sociali delle crociate e l'indipendenza dei Comuni che si liberarono dai lacci feudali e favorirono attività e traffici che avevano bisogno per svolgersi di strade e ponti.

Lo studio del tracciato delle strade antiche, di cui la provincia di Imperia conserva tanti ricordi e testimonianze concrete, ci porta indietro nei secoli e ci induce a chiederci perche furono costruite, a chi servivano, chi le percorreva per allargare orizzonti del proprio lavoro e per comunicare con altri uomini. Erano strade mulattiere parallele alla più importante via costiera costruita dai Romani e collegavano valle a valle, borgo a borgo, oppure vie "marenche" dai monti al mare o strade "del sale".

Oggi quelle vecchie strade sono abbandonate e in parte scomparse, ma a segnare la loro importanza e i loro tracciati restano i ponti che Enzo Bernardini definisce «veri monumenti di pietra perfettamente inseriti nel paesaggio, anzi divenuti essi stessi parte essenziale e armoniosa dei cento volti della nostra terra, in gran parte ancora agibili e utilizzati da secoli». Continua Bernardini: «Non si conoscono i nomi degli architetti e degli abili capimastri che li eressero: e questo anonimato accomuna tutta la nostra gente, che contribuì in qualche modo alla loro esistenza e che ci ha lasciato anche sotto questo aspetto testimonianza di silenziosa e intelligente operosità».

Il ponte di San Martino a Clavi dimostra I'importanza dell'abitato già in epoca medievale: un piccolo insieme di case che presenta ancora elementi architettonici di rilievo come la casa torre quattrocentesca e un caseggiato secentesco con la scala che si avvita intorno all'asse di una colonna. Poco più su, San Giorgio la cui parte absidale romanica fu costruita nel XII secolo probabilmente su una costruzione preesistente dal momento che su un pilastro una scritta secentesca afferma che la consacrazione della chiesa è avvenuta il 19 maggio del 1001 (ancor oggi nel borgo di Torrazza c'è chi ricorda che i vecchi ormai scomparsi usavano l'espressione «è del 1001 » per alludere a qualcosa di molto antico).

Spesso mi reco al ponte di San Martino e mi affaccio al parapetto: il Prino forma a monte un laghetto circolare con una cascatella; il suo corso in alto si allarga fra le canne, begli alberi lo ombreggiano, sulle rive le bealere che portavano l'acqua agli orti, il gorgoglio dell'acqua, i sassi bianchi del greto quando la calura dell'estate li prosciuga. Dolcedo è vicina. I fianchi delle colline a fasce di ulivi conducono il pensiero alle pagine che Boine dedica alla fatica immane, durata secoli, della costruzione dei muri a secco per sostenere gli uliveti: «la cattedrale degli ulivi». Immersi in quest'atmosfera che nasce dal paesaggio, ma anche dai secoli che in esso si sono consumati, non è difficile immaginare di vedere i viandanti che superavano il ponte. Fra di essi c'erano mercanti e pellegrini.

I mercanti conducevano convogli di muli carichi di some, i pellegrini ormai in vista del mare, pensando al prossimo imbarco a Porto Maurizio, sostavano forse nella chiesa di San Giorgio per invocare una felice navigazione. Le navi li avrebbero portati a Genova da dove sarebbero partiti per la Terrasanta. Altri si sarebbero mossi lungo le strade mediane interne o lungo l'Aurelia in direzione di Roma o di Santiago di Compostela. Provenivano dal Nord Europa e dal Piemonte attraverso la valle del Tanaro. Gli studi di «archeologia delle grandi vie di comunicazione» ci danno moltissimi elementi di conoscenza , sui luoghi di sosta dei viandanti costretti ad affrontare a piedi o a dorso di mulo percorsi tanto lunghi. I mercanti trovavano accoglienza nelle località attrezzate anche per la custodia delle merci, come Pieve di Teco. I pellegrini sostavano negli ospizi, gestiti dagli ordini religiosi, con stanze per dormire e la chiesa per il culto. E infatti da Nava alla marina di Porto l'attività dei cavalieri di San Giovanni, ordine gerosolimitano ospitaliero, aveva realizzato in un susseguirsi ininterrotto ospizi e ponti per dare sicurezza al transito dei pellegrini.

Il ponte di San Martino a Clavi è probabile che sia opera, appunto, dei cavalieri di Malta, come lo è la chiesa dell'ospizio della Marina, così dolorosamente decaduta.

Anche l'oratorio di San Martino, attiguo al ponte, può avere avuto funzione di ricovero dal momento che la costruzione delle strutture degli ospitalieri di San Giovanni o di Malta avviene proprio fra il Duecento e il Trecento, epoca in cui furono costruiti il ponte e l'oratorio.

Il ponte, a due grandi archi falcati sul quale recentemente una giovane imperiese, Erminia Airenti, ha condotto la sua tesi di laurea in architettura, presenta caratteri di originalità, di accuratezza nella lavorazione e di eleganza che ne fanno un esemplare unico. L'abbandono in cui viene lasciato non può continuare. E' segnato dalle orme di coloro che per secoli vi sono transitati mossi dal bisogno, dal desiderio di guadagno, dalla fede, dalla fiducia nei contatti con gli altri uomini. Lasciarlo nell'incuria, col pericolo che un'ondata di piena lo travolga, è cancellare il passato, amputare quella parte di noi che nel passato ha le proprie radici e il senso della sua esistenza.

Sul luogo allievi del Liceo Classico di Imperia, guidati dalla professoressa Lepra, hanno condotto uno studio premiato in sede nazionale. C'è un fervore di iniziative che Comune, Provincia e Regione dovrebbero appoggiare per rivalutare un sito meritevole di costituire un'attrattiva nell'ottica di uno sviluppo turistico di qualità.


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